lunedì 21 dicembre 2009

ZAHA HADID - Visita alla mostra al Palazzo della Ragione di Padova del 18.12.09 - Guida arch. SIMONE BADA

Venerdì 18 dicembre abbiamo partecipato con gli architetti che hanno aderito al nostro invito alla visita guidata dall'arch. Simone Bada della mostra di Zaha Hadid al Palazzo della Ragione di Padova.
Conoscere la metodologia che l’arch. Zaha Hadid adotta, consente di comprendere ogni sua opera velocemente (s’intenda scultura-pittura-architettura-design):
-immersione totale sensoriale
-fluidità-forma
-mai ripetitività
-continua variazione di elementi (continuo movimento dell’occhio in tridimensionale e bidimensionale)

-ARCHITETTURA PARAMETRICA
30 anni di lavoro di raccolta di informazioni precise e costanti nell’evoluzione e realizzazione dei vari progetti permettono all’architetto di progettare ogni nuovo edificio sulla base di dati oggettivi di reazioni ambientali della materia e quindi di evolvere costantemente la ricerca.
Nello specifico la “sensorialità degli edifici” è attualizzata da rilievi sensoriali reali e costanti in grado di rilevare non solo il cambiamento climatico esterno ma anche la presenza umana interna, combinata con le necessità di ogni ambiente in dipendenza del tipo di lavoro. Ciò permette di convogliare l’energia e l’aria calda o fredda solo ed esclusivamente dove necessita, tralasciando le zone senza presenza umana ove sarebbero sprecate. Quindi risponde alla “VARIAZIONE DA USO” , non solo alla variazione solare; il risultato è un effetto mutevole e indeterminato sulle facciate.
Ogni intervento/progetto ha una genesi comune sui parametri relativi rispetto alle funzioni degli edifici. (Es.: Ponte dell’aereoporto di Saragozza ha tre entrate e gli spazi sono variabili e modificabili come una rappresentazione teatrale)
Ovviamente ogni opera non si può ripetere e mai niente potrà essere serializzato.
Ogni progetto sia d’architettura che di design vuole produrre qualcosa da usare a “nostra immagine e somiglianza”.

RINGRAZIAMENTI
-Un particolare ringraziamento all’arch. Simone Bada  che ci ha guidati con passione alla comprensione dell’opera di un’artista così poliedrica.
-un ringraziamento all'Ordine degli Architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Padova che ci ha dato la possibilità di realizzare l'evento.
-un ringraziamento "caloroso" ai numerosi architetti che hanno partecipato alla visita sopportando la "rigida temperatura" del Palazzo della Ragione di Padova

6 commenti:

  1. Anch'io devo ringraziare l'Arch. Bada per la Sua esposizione molto puntuale e chiara di quella che è la filosofia di Zaha Hadid. Tengo però a precisare che, amio avviso, più che architettura si tratta di sculture che sono si affascinanti ma poco funzionali e soprattutto presentano dei difetti costruttivi abbastanza presto nel tempo.

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  2. Io devo fare la voce fuori dal coro...
    Ho trovato molta dell'esposizione basata su fattori personali di gusto dell'arch.Bada.
    E alcuni concetti mi hanno un po' spiazzato.
    Uno su tutti: 'la ricerca del bello' da parte delle amministrazioni che aggiudicano così tanti concorsi allo studio Hadid, a me sembra più una ricerca di archistar che facciano strutture riconoscibili indipendentemente dal luogo dove vengono costruite...

    Chiaramente IMHO*...

    *questo l'ho scritto solo per sentirmi chiedere cosa vuol dire;-)

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  3. In My Humble Opinion... ;-)

    Nella sua ultima intervista, pubblicata postuma, Manfredo Tafuri sottolineava come nel Rinascimento ogni singola pietra, in particolare a Venezia, fosse in possesso di un preciso valore istituzionale perché dietro qualunque scelta architettonica c'era una precisa volontà ideologica o politica dei committenti.
    Utilizzare dunque l'architettura come "strumento concettuale per interpretare le realtà politiche come realtà costruite" dimostra la necessità di riconoscere e osservare come le forze e i contesti storici condizionano dall’esterno le opere degli architetti, inevitabilmente immersi nello spirito del tempo e in quello dei loro committenti.
    Ed è indubbio che molti committenti come Dubai, Abu Dhabi, e molte opere, in particolari i moltissimi concorsi vinti sul tema del "performing art center" si incrociano con un particolare incontro di fattori storici, probabilmente unici, che hanno consentito una ricerca e una definizione formale cosi raffinata.
    Il bello poi come ho sottolineato spesso durante la visita è un concetto tabù ancora oggi in architettura, ancora di più in questo momento in cui molte sperimentazioni si sono fermate a causa della crisi.
    Ma la storia è fatta di "rallentie et acceleration" è fatta di più storie che si incrociano, che si scontrano, che quasi si toccano, ed ogni progetto allora va analizzato, sezionato in tutti i suoi aspetti e in tutti rapporti che lo contestualizzazano nel tempo, nella commitenza, in sintesi in tutta la sua complessità.
    Ma questo è un lavoro di filologia pura, un lavoro storiografico ancorprima che di critica che può essere affrontato e discusso per ogni opera presente alla mostra.
    Ma come anticipato e riaffermato la visita innanzitutto doveva essere una sorta di immersione in un mondo che non solo era la rappresentazione di un'attività trentennale, ma costituisce anche la "dimensione" spirituale e artistica di Zaha Hadid.
    Una volta compresa questa, o perlomeno "immaginata" è possibile comprendere e analizzare l'opera progettuale e poi ancora, le relazioni tra progetto, commitenza e periodo storico...
    E allora potremo anche chiederci..perchè Zaha Hadid e non altri?
    E in cambio radicale di scala..perchè si continuano a progettare sedie quando ne esistono in commercio centinaia forse migliaia di modelli?
    Forse, come diceva Bruno Munari, un buon motivo per progettare una nuova sedia, non è certamente per potercisi sedere...ma per poter appagare qualcosa che và oltre la funzionalità.. ;-)

    Vi ringrazio della partecipazione e di questo blog

    a presto

    Simone Bada

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  4. Ottimo! Un po' di discussione :-)

    Innanzitutto ti ringrazio della risposta, poi ti chiedo: ma se il concetto di bello è tabù nell'architettura (e qui penso al concetto di bello come un giudizio soggettivo riguardo a una qualsisai cosa, un bel cavolfiore venduto in piazza, una bella ragazza o una bella serata) perché non si sostiutisce con il 'mi piace'.
    Cioé: se 'bello' è soggettivo, perché non prendersi la responsabilità di dire 'mi piace' a dispetto di quello piace a voi?
    In fondo a me l'architettura della Hadid non piace (almeno non tutta) però cerco di non dire: è brutta.

    Non mi metto a discutere su come 'riconoscere e osservare come le forze e i contesti storici condizionano dall’esterno le opere degli architetti, inevitabilmente immersi nello spirito del tempo e in quello dei loro committenti' sia un concetto giustissimo e visibile in ogni angolo del mondo in cui cattiva architettura è indice di cattivi committenti e di situazioni politiche nefaste.
    (e qui ti chiedere un opinione sul ponte di Calatrava a Venezia)

    Come anche mi trovi d'accordissimo sul fatto ce la mostra era nel suo stesso allestimento dimostrazione del lavoro della Hadid più che la semplicdeesposizione dei suoi progetti. E che questo è uno dei modi più interssanti di presentare un architetto, senza scadere in una mera mostra fotografica o un'esibizione di plastici.
    Per dirla in maniera matematica: l'esposizione è un frattale dell'opera dello studio Zaha Hadid. Concetto che forse piacerebbe anche a lei vista la sua passione per la matematica.

    Per rispondere in velocità alle ultime domande direi:
    Perché Zaha Hadid ha un richiamo pubblicitario elevatissimo e una serie di interventi sul territorio che possono giustificare una sua mostra. Se poi mi chiedi perché fare una mostra così bella ;-) per un'architetto che non si degna nemmeno di venirla a vedere, non so che dirti...

    Per le sedie, come qualsiasi altra cosa, si continuano a disegnare per un bisogno di andare oltre, di migliorare, di fare meglio degli altri, che poi se uno disegna una sedia bellissima in cui non ci si può sedere, direi che è una scultura, non una sedia.

    Detto questo, il tutto senza polemica, ti ringrazio molto per la possibilità di fare queste riflessioni, e adesso posto senza rileggere che mia moglie mi chiama per il pranzo (avanzi del giorno di natale! wow!)

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  5. Osservazione interessante Forse, ancor prima di addentraci nel termine bello e mi piace, dovremo fare un passo indietro e parlare di gusto.
    Il gusto potremo definirlo come una incostante psicologico estetica, che risulta assai mutevole, instabile, intrisa di preferenze e umori individuali che rende di per se questo aggettivo foriero di equivoci e incertezze, altamente soggettivo a volte irrazionale e basato su sillogismi.
    Quando alla mostra parlavo di bello e ovviamente a questo si associa il concetto mi piace che sottintende il difficile esercizio del gusto ero ben consapevole di addentrarmi in un campo minato che si presta come pochi altri al fraintendimento e alle incomprensioni.
    Ma è quasi ineluttabile che chi voglia, come nel mio caso,ragionare di incomprensione dell’arte da parte del pubblico deve anche esporsi al rischio di restare a sua volta incompreso e di vedere le sue opinioni accettate o quantomeno comprese soltanto in un secondo momento quando cioè i gusti del suo stesso pubblico si siano sufficientemente aggiornati.
    Ed è indubbio che alla mostra il salto dimensionale rispetto all’usueto è notevole e ci troviamo inevitabilmente di fronte ad una forte oscillazione del gusto quando ci troviamo davanti alle forme più avanzate dell’arte (in questo caso dell’architettura) d’avanguardia.
    Ho insistito su alcuni elementi necessari ad una prima comprensione al fine di preparare il gusto, e ancor prima la predisposizione mentale, cercando di liberare la mente da costruzioni che in buona parte potevano costituire un’intralcio alla comprensione di una poetica per molti aspetti rivoluzionaria e fatta da un lessico nuovo, in alcuni elementi di totale invenzione.
    Peraltro assistiamo da diversi anni ad un processo di suddivisione dell’arte in compartimenti stagni, col risultato che molto di ciò che oggi si considera arte ( la maggior parte dell’arte di avanguardia a cui appartiene certamente Zaha Hadid) è destinata quasi esclusivamente ad una elitè intellettuale, mentre quello che va in mano all’uomo della strada, ma anche al grosso industriale o alla haute couture economico finanziaria dell’arte non ha che l’apparenza esterna, la mascheratura.
    Ma ritornando alla questione da te posta ritengo che alla base della comprensione e all’apprezzamento dell’opera d’arte ci deve essere la novità.
    Senza novità non c’è interesse e non c’è richiamo da parte dell’opera; ma d’altro canto senza un pò di conoscenza anticipata dell’opera e di agevolezza a comprenderla, non c’e neppure facile adesione da parte del pubblico.
    La grande difficoltà è che speso in generale molti non esercitano nemmeno quel minimo briciolo di difficoltà di esercizio che comunque deve essere fatto perché l’opera possa essere compresa o almeno come dico “immaginata”.
    Anche questo è un’aspetto di cui son perfettamente conscio ed è per questo che fin da subito il mio sforzo è teso attraverso alcuni esercizi di sensorialità, di emozionalità, di frammenti tecnici e linguistici a portare quasi per mano a quella che non a caso chiamo immersione in un mondo, non tanto legata al mio gusto personale, ma al linguaggio dell’artista,nello specifico di un’artista, architetto, pittrice, davvero cosi raramente complesso, e che cerca, in contrapposizione a quanto descritto prima sulla condizione dell’arte, nella sua ricerca una sintesi delle arti in uno, un’operazione a mio avviso straordinaria che ha le sue origini teoriche e tecniche nella Bauhaus ma che qui trova davvero compiutezza attraverso un linguaggio dove il pensiero di Mohly-Nagy diventa essenza, anima trasmutata, dove la leggerezza di Magritte si fa architettura, dove il tempo rallentato fino a sciogliersi come nei lavori di Dalì trova espressione plastica, dove la sensualità di Modigliani si ritrova nelle forme avvolgenti dei rivestimenti che si fanno pelle, dove il movimento continuo delle forme ma anche del colore e forse la ripresa più convincente del manifesto futurista italiano di Balla, le forme plastiche di Boccioni e del giovanissimo Sant’Elia e le sue architetture “impossibili”.

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  6. Grazie per la risposta.
    Devo riflettere su alcuni concetti, anche se mi sembra la discussione si sia spinta su binari di critaca d'arte più che di considerazioni sull'architettura.
    Allora devo pensare che se la mostra è giustamente più vicina ad un opera d'arte, l'opera della Hadid (anche per il contesto in cui veniva presentata 'biennale dell'architettura') immaginavo venisse analizzata più dal punto di vista, appunto, architettonico.
    Adesso devo solo riuscire a capire dove i due concetti hanno punti di unione e dove invece divergono...

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